Esopianeti, per la prima volta misurato il transito di una Super Terra, 55 Cancri-e


Per la prima volta un pianeta extrasolare poco piu' grande del nostro, una 'superterra', e che orbita attorno a una stella simile al Sole e' stato osservato con un telescopio basato a Terra. Ci è riuscito il gruppo coordinato da Ernst de Mooij, dell'Universita' Queen di Belfast, il cui lavoro e' stato pubblicato su Astrophysical Journal Letters. Gli astronomi sono riusciti a riconoscere il pianeta mentre transitava contro il disco della sua stella. Si tratta di 55 Cancri-e, un pianeta roccioso grande circa due volte la Terra e 8 volte piu' pesante, che si trova alla distanza di 40 anni luce. Per osservarlo i ricercatori hanno usato un telescopio di 2.5 metri istallato a La Palma, in Spagna, un 'piccoletto' se confrontato ai grandi osservatori come il Very Large Telescope (Vlt) che si trova in Cile, dallo specchio di oltre 8 metri. Intanto secondo una nuova ricerca anche le stelle di piccola taglia in fase di pre-sequenza principale potrebbero ospitare pianeti adatti allo sviluppo di vita, ma a distanze maggiori di quanto si ritenesse finora. Un importante vantaggio osservativo, che permetterebbe di individuare pianeti simili alla Terra già ai telescopi della prossima generazione.Per de Mooij "è straordinario quello che possiamo fare spingendo ai limiti i telescopi e gli strumenti esistenti, nonostante le complicazioni derivanti dalle turbolenze dell'atmosfera terrestre". Gli strumenti hanno infatti osservato il piccolissimo cambiamento della luminosita' della stella 55 Cancri dovuto al passaggio del pianeta davanti alla sua superficie. Una riduzione dello 0,05% durante il passaggio durato circa 2 ore, delle 18 necessarie al pianeta per completare un'orbita completa. I migliori cacciatori di pianeti extrasolari continuano a rimanere i telescopi spaziali, 'liberi' dall'atmosfera, ma questa osservazione dimostra che anche da terra e' possibile ottenere preziose osservazioni. La prossima sfida, spiegano i ricercatori, sara' ora quella di riuscire a riconoscere anche la presenza di eventuali atmosfere nei pianeti extrasolari.I nuovi studi sulla collocazione della zona abitabile. Intanto gli astrofisici non si fermano e stanno serrando le fila per scovare, tra i miliardi e miliardi di esopianeti sparsi per l’universo, quelli più simili alla nostra Terra e quindi quelli con le maggiori probabilità di ospitare la vita. In un articolo dell'INAF viene dato conto dei nuovi studi sulla ricerca dei pianeti extrasolari potenzialmente abitabili. La Cornell University di Ithaca, Stati Uniti, ha addirittura fondato un istituto ad hoc per questo tipo di indagini e il suo nome non poteva che essere Institute for Pale Blue Dots. Il suo direttore, l’astronoma Lisa Kaltenegger e uno dei ricercatori che vi lavorano, Ramses Ramirez, hanno realizzato uno studio, in pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal, in cui analizzano alcuni aspetti della ricerca di pianeti attorno a stelle distanti dove maggiori sono le proprietà di trovare quelli più ospitali. Nello specifico, i due ricercatori hanno indagato la collocazione della cosiddetta zona di abitabilità – quella opportuna distanza dalla stella madre che rende possibile la presenza di acqua allo stato liquido – ovvero la regione di spazio attorno a una stella dove l’acqua può trovarsi allo stato liquido – per stelle molto giovani, con massa compresa tra una volta e mezzo e un decimo di quella solare e che siano nella fase precedente a quella principale (la cui energia non è prodotta da reazioni di fusione nucleare ma dalla sola forza gravitazionale). I risultati di questo studio indicano che la fascia di abitabilità si colloca più lontano di quanto si pensasse.



«Trovare pianeti abitabili più lontano dalle loro stelle madri significa che essi potranno essere osservati dai telescopi della prossima generazione» dice Ramirez. «Simili oggetti sono più facili da individuare quando la zona abitabile è più distante, così saremo in grado di studiarli quando la stella attorno a cui orbitano è ancora molto giovane». Inoltre, poiché il periodo di pre-sequenza principale per le stelle più fredde è molto lungo (può durare anche 2,5 miliardi di anni), la vita potrebbe sbocciare su un pianeta già nelle primissime fasi evolutive della sua stella, magari per trasferirsi poi nel sottosuolo (o nei suoi mari), al diminuire della luminosità della stella madre. Kaltenegger e Ramirez si stiamo anche la massima perdita di acqua che potrebbero subire pianeti rocciosi in orbita attono alla loro stella, prendendo come riferimento distanze orbitali equivalenti a quelle di Venere, Terra e Marte rispetto al nostro Sole. Il loro studio conferma che a evaporazioni massicce di acqua nelle fasi iniziali della formazione in esopianeti collocati nella zona abitabile, potrebbero seguire periodi di ‘rifornimenti idrici’ portati da intensi bombardamenti di asteroidi e comete ricchi di acqua. «Lo stesso è avvenuto nel passato del nostro pianeta, che ha incamerato nella fase del Late Heavy Bombardment notevoli quantità d’acqua, portata dagli asteroidi», aggiunge Ramirez. «Esopianeti che orbitano la loro stella a distanze corrispondenti a quelle della Terra o Venere dal Sole potrebbero condividere la stessa storia evolutiva».

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